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venerdì 30 agosto 2019

Incendi: quello che accade in Amazzonia non resta in Amazzonia

In questi giorni, una squadra di nostri colleghi ha documentato con nuove immagini (“inedite” quanto impressionanti) gli incendi che, nelle ultime settimane, stanno devastando la foresta amazzonica. Un dramma di proporzioni globali spaventose, se consideriamo che il numero di incendi nella regione è aumentato del 145% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.





Incendi e deforestazione (per l’agribusiness)
In Amazzonia gli incendi e la deforestazione vanno di pari passo: quello che non tutti raccontano infatti è che il 75% dei focolai si è verificato in aree che fino al 2017 erano coperte dalle foreste e che successivamente sono state deforestate o degradate per lasciar spazio a pascoli o aree agricole. Insomma, molti degli incendi (come negli stati di Rondônia e Pará ad esempio), dimostrano chiaramente che l’avanzata dell’agricoltura industriale nella foresta, spesso per far spazio a pascoli per il bestiame e colture – come la soia– destinate alla mangimistica, è stata “l’anticamera” degli incendi. Circa il 20% degli incendi si è verificato in aree naturali protette, il 6% delle quali appartengono a Popoli Indigeni. Secondo l’istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), ad oggi, in Brasile si sono verificati 80.626 incendi, di cui il 52,4% in Amazzonia e il 29,9% nel Cerrado. Nei primi otto mesi dell’anno in tutto il Sud America, gli incendi sono stati ben 177.858.

Il libero scambio di prodotti fra Sud America e Europa
Risulta sempre più chiaro che la posizione dell’Unione europea rispetto “al consumo” della foresta amazzonica fa pensare a un cane che si morde la coda: se con la mano destra l’Europa vuole difendere la foresta (ne è un esempio l’offerta di un pacchetto di fondi – 20 milioni – contro gli incendi, proposto proprio durante il G7 appena conclusosi a Biarritz), con quella sinistra si appresta a svenderla ulteriormente tramite l’Ue-Mercosur, l’accordo di libero scambio con alcuni stati del Sud America (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay), che – almeno così com’è – aumenterà le importazioni di materie prime agricole in Europa (a cominciare da carne e soia), con conseguenze devastanti per il clima, le foreste e i diritti umani, sacrificati ancora una volta sull’altare del profitto. Ogni accordo commerciale, invece, deve evitare di incrementare la crisi climatica e la perdita di biodiversità in corso. Conseguentemente l’UE-Mercosur deve essere sospeso fino a quando le foreste – dell’Amazzonia e non solo – saranno adeguatamente protette e l’accordo comprenda misure efficaci per rispettare l’Accordo di Parigi sul clima, la Convenzione sulla diversità biologica e gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Non dimentichiamo inoltre che proprio l’Europa è il secondo importatore mondiale di soia, molta della quale proveniente dal Sudamerica.

L’Amazzonia che brucia è un problema climatico di tutti
La foresta amazzonica immagazzina tra le 80 e le 120 miliardi di tonnellate di carbonio, pari a 13 volte le emissioni annue causate dai combustibili fossili e dall’industria. Le fiamme che stanno consumando l’Amazzonia insomma non sono un problema solo per il Brasile, ma per l’intero Pianeta. Con l’aumentare degli incendi, infatti, aumentano anche le emissioni di gas serra, che favoriscono ulteriormente l’innalzamento della temperatura globale e, di conseguenza, il verificarsi di eventi meteorologici estremi. Agire per porre fine alla deforestazione dell’Amazzonia deve essere un obiettivo globale e un obbligo per chi guida il Paese, ma Bolsonaro non ha annunciato alcuna misura concreta per combattere la deforestazione. La distruzione delle foreste è una delle principali cause del cambiamento climatico e della massiccia estinzione delle specie a cui stiamo assistendo, oltre ad essere spesso associata alla violazione dei diritti umani. Lo stesso IPCC (il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici), ci ha ricordato poche settimane fa che proteggere le foreste e promuovere pratiche agricole sostenibili ed ecologiche, è fondamentale per affrontare la crisi climatica che stiamo attraversando.