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venerdì 29 maggio 2020

4 modi in cui Covid19 minaccia i progressi fatti sulla lotta alla plastica monouso

1,9 milioni di frammenti per metro quadro, la concentrazione di microplastiche più alta mai registrata sui fondali marini. Questo triste primato spetta al nostro mare: la misurazione è stata effettuata su sedimenti raccolti nel Mar Tirreno centrale tra Sardegna, Corsica, Lazio e Toscana. La scoperta è stata pubblicata pochi giorni fa sulla prestigiosa rivista scientifica Science. 
Una contaminazione così elevata indica una condizione storica, e probabilmente cronica, che potrebbe aumentare nei prossimi anni considerando non solo le previsioni a lungo termine di produzione di plastica ma anche il picco di consumi che sta avvenendo durante l’attuale emergenza sanitaria. Sono numerosi i segnali che ci indicano come ai tempi del Covid19, l’inquinamento da plastica monouso stia peggiorando. Non sappiamo se sia stata la paura di uscire, la fretta mentre siamo al supermercato, la parziale chiusura di mercati e altri punti vendita di prodotti provenienti da filiere corte (e con poco imballaggio) oppure la presunta igienicità della plastica ad aver indirizzato i nostri consumi verso questa tipologia di prodotti ma ci troviamo con montagne di rifiuti in plastica da gestire. 

1. Assistiamo al crescente uso di mascherine, dispositivo necessario per proteggerci, ma anche di guanti monouso. Non vanno mai abbandonati nell’ambiente ma smaltiti sempre in modo corretto. È preferibile da un punto di vista ambientale ricorrere alle mascherine riutilizzabili in commercio o anche autoprodotte, idonee a proteggerci come indicato dall’Istituto Superiore di Sanità. 
2. Aumenta il ricorso a cibo imballato. Secondo i dati di un recente rapporto di ISMEA, durante la fase 1 il consumo di prodotti alimentari confezionati è cresciuto del 18 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 
3. Si ricorre sempre più al cibo da asporto, un segmento di consumo che non sembra poter prescindere da grandi quantità di contenitori in plastica, unica strada al momento percorribile per consentire al settore della ristorazione di riprendere le proprie attività. C’è stato un vero boom dei servizi di spesa a domicilio (+160 per cento su base annua). 
4. Il sistema di riciclo è in crisi a causa del fermo degli impianti su scala nazionale e, complice il minimo storico del prezzo del petrolio (materia prima da cui si produce gran parte della plastica), le aziende potrebbero fare ancora meno ricorso a plastica riciclata per confezionare i propri prodotti. 

A ciò si aggiunge che non esiste un piano nazionale per il recupero a fine vita delle mascherine e altri dispositivi di protezione individuale. Che fare allora per evitare che l’emergenza globale dell’inquinamento da plastica si aggravi ulteriormente? Iniziamo a sfatare il mito della “protezione” che gli imballaggi di plastica dovrebbero garantirci: i prodotti confezionati, inclusi quelli in plastica, non garantiscono a priori l’assenza del rischio di contaminazione anzi uno studio indica che proprio la plastica è una delle superfici su cui il virus può resistere più a lungo. 
Approfittiamo della crisi che impone modifiche alle nostre abitudini per cambiare direzione e non peggiorare il nostro impatto ambientale. 
La Cina sta investendo, ad esempio, in alternative al packaging monouso basate su opzioni riutilizzabili anche per le piattaforme di e-commerce. 
Non abbandoniamo le mascherine nell’ambiente e se possibile utilizziamo alternative lavabili e riutilizzabili più volte. Inoltre, ricordiamo che se utilizziamo un gel lavamani non abbiamo alcun bisogno dei guanti. 
Guardiamo avanti, affidandoci al buon senso e alle regole basilari di igiene quotidiana per proteggere noi stessi, il nostro mare e il Pianeta oggi dal virus e… domani da un futuro pieno di plastica.